Ho preso il Covid, la malattia.
Finalmente protagonista della contemporaneità. Lieve euforia.

Primo giorno di Covid. Incubazione, streaming di sentimenti contrastanti.

Secondo giorno di Covid. Mal du siècle, che può esser brutalmente tradotto dal francese come “la malattia del secolo”, è un termine usato per riferirsi alla disillusione malinconica provata da giovani-non-più-giovani dell’Europa all’inizio del 19esimo secolo.

Oh comunque è incredibile la quantità di biancostato che passa in televisione nel primo pomeriggio. Oggi ho scoperto questa Francesca Fialdini, un bell’esempio di sostenibilità.

Pomeriggio. Contemplando un vecchio ritratto di Francois-Renè De Chateaubriand.

Terzo giorno di Covid, pomeriggio. Sintomi lievi, febbriciattola, mal di testa, senso di oppressione. A tratti nostalgia di certe seconde serate con Renzo Arbore. Sullo sterno crescita appena accennata di un abete

Il saturimetro segna 98. Non male. Per dire, Rita Pavone ha 96 fisso. Amedeo Goria 92 ma lì c’è tutto un grosso problema di solfiti. Febbriciattola stabile.

Quarto giorno di Covid, mattina. Trentasei e otto. Trentasette e due. Trentasei e otto. Trentasette e due. Ehi ehi trentasei e cinque! No, trentasette e due. Bravo corpo, davvero molto maturo come atteggiamento.

Sto studiando delle correlazioni. Tipo, se mi faccio la doccia, la febbre scende di due decimi, ma aumenta il mal di stomaco. Se mangio diminuisce il mal di stomaco, ma la febbre sale. Ora provo a sciacquarmi con un po’ di brodo.

Colonna sonora: “F. Schubert – Forellen Quintett “La Trota” op.114 D667 – (Quartetto e pianoforte OSNRai) Parte 1″

Stanotte ho sognato Gramsci Antonio. Eravamo su una panchina, in un parco di una città del nord. Lui piangeva a dirotto, la testa tra le mani. Io gli faccio “ma cos’hai, Grà?” e lui, quasi tremante, “Niente bro’, sai quella cosa del disunirsi”

Quarto giorno di Covid, primo pomeriggio. Ho la saturazione a 99. Pare sia il record del mondo, ma forse non me lo omologano perché leggermente ventoso. Comunque è una bella soddisfazione, ma non è ancora abbastanza. Voglio i 106 di Varenne per il record grandi mammiferi.

Quarto giorno di Covid, secondo pomeriggio. E se invece fosse tisi?

Riflettendo sull’opportunità del centrosinistra di aprirsi a nuove istanze provenienti dai settori più vivaci della società civile. Eh però che parolone.

Sto imparando a tossire al rallentatore, per evitare quel fastidioso effetto rinculo. Si può fare. Si tratta di sfiatare la botta un po’ alla volta, fermandosi in apnea per un istante dopo lo scoppio. D’altra parte col culo lo si fa da anni.

Propositi per il nuovo anno: vedere il Covid come un’opportunità. Addirittura come uno stimolo, un pungolo. Esagero(?): come una botta di culo.

Quinto giorno di Covid, albeggia. Sento ancora i sapori, ma un po’ alterati. L’acqua frizzante sa di cavolo nero. Il caffè sa di badedas. Il pane, soprattutto se caldo, sa di sapori antichi, di rimembranze, di bambini che corrono nei campi, di violenza di genere.

Quinto giorno di Covid, alba. Sono vivo, vivo! Ma è vita questa? Questo vuoto alternarsi di luce e buio, questo trascinarsi eccetera, questo campionato dominato dagli interessi ferini delle pay tv, questa letteratura svenduta alle multinazionali del tabasco.

Lieve sofferenza. Comunque nulla a che vedere con ciò che le nostre belle donne italiane provano nel momento del cosiddetto parto.

Colonna sonora: “Mietta – Forellen Quintett “La Trota” op.114 D667 – (Quartetto e pianoforte OSNRai) Parte 1cover a cappella

I bronchi. Che nome da film western anni 70. “Bronchi, il piombo e la carne”, “Bronchi all’ombra di una Colt”. Ma finitela.

Una sola parola: Morigeratezza.

Sesto giorno di Covid. Leggera tosse stizzosa, niente febbre, niente raffreddore, poco mal di stomaco, buona tonicità muscolare, piedi armonici ed eleganti, polpacci turgidi, quadricipiti francamente eccezionali.

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