Oggi Kafka avrebbe compiuto 133 anni. Cioè, se non fosse morto quasi un secolo fa, oggi avrebbe 133 anni. Che è come dire che sarebbe morto da almeno 50 anni, perché nessuno campa fino a 133 anni. Cosa sarebbe cambiato? Probabilmente avrebbe scritto qualche altro capolavoro della letteratura, ma forse no, forse avrebbe fatto la fine di quei cantanti che dopo due album eccezionali finiscono a fare le cover del proprio rimpianto alla festa del sarbocco dolce di Saltincazzo Marina. Probabilmente avebbe continuato a scrivere sul suo diario, che poi è la sola cosa che davvero conta, ma sarebbe morto. Stramorto. Da almeno mezzo secolo. Con ogni probabilità sarebbe morto insieme alle sorelle, nel ’43, a Chełmno o ad Auschwitz, e oggi sarebbe ricordato, più che come scrittore, come martire del nazismo. Bella merda. Quello che ci frega è l’asincronia. Il fatto che le generazioni si susseguano e nessuno possa mai essere davvero contemporaneo di qualcun altro fa sì che qualsiasi nostalgia resti solo un punto di vista temporaneo, oltre che un distillato di sentimentalismo.
Io ho nostalgia di Kafka, ho nostalgia del suo essere morto prima che io nascessi, nostalgia di non poter essere devastato dal fatto che sia morto, perché è anacronistico dispiacersi per uno che è stramorto da sempre. Se Kafka fosse vivo, oggi sarebbe l’uomo più vecchio mai esistito; di lui si direbbe che uno così è un miracolo della natura — campare fino a 133 anni, che roba — e lo inviterebbero alle trasmissioni in tivvù. Non sarebbe più nemmeno uno scrittore, perché di scrittori ce ne sono tanti, ma di highlander uno solo, signori: Franz “machitammazza” Kafka. Che disastro.
Le persone dovrebbero nascere tutte nello stesso momento, tutte insieme, e da lì andare avanti, sempre tutte insieme; poi qualcuno muore a metà strada, qualcuno subito, qualcuno dopo, qualcuno muore quando non c’è più quasi nessuno, ma tutti sarebbero contemporanei. Allora sì che sarebbe giusto e comprensibile incazzarsi per la morte di uno che muore a 41 anni, che poi sono gli anni che ho io adesso, perché cazzo — dici — ce ne sono almeno 4 miliardi che campano di più e deve morire proprio questo, che è Franz Kafka e che cambia le vite delle persone senza nemmeno conoscerle? E giù un tifone di madonne, ma madonne sante, giustificate, dovute. Ma così no, così sai che tutto sarebbe comunque finito da decenni prima che tutto potesse iniziare, così che senso ha incazzarsi? Oggi Kafka avrebbe compiuto 133 anni. Bene. E se ne avesse compiuti 254 o 89 sarebbe stata esattamente la stessa cosa. Sarebbe già morto comunque. E ogni nostalgia sarebbe come questa, nostalgia letteraria, rimpianto a salve, dolore immaginato. Di quella nostalgia, di quel rimpianto, di quel dolore che vanno bene per andarsi a risfogliare due pagine dei Diari, come per deporre un fiore su qualcosa, ma che non ti permettono di dire che oggi mio fratello, il mio amico Kafka, avrebbe compiuto 133 anni e invece no, è morto, e non solo non c’è, ma non c’è più.